Ogni cultura ha un linguaggio. I termini che definiscono le cose sono gli stessi ma il significato cambia. La parola “sangue”, come è usata oggi, rimanda immediatamente a qualcosa di delittuoso, a qualcosa che ha a che fare con la morte. Nella Bibbia, al contrario, è una parola che richiama la vita.

Nella cultura ebraica il sangue corrisponde proprio alla vita. Tutta una serie di normative rituali che vietano il contatto con il sangue hanno a che fare con il rispetto e l’intangibilità della vita. Potremmo dire che l’equivalente del sangue nella nostra cultura è l’anima. L’ebraismo, essendo una cultura semita, preferisce far riferimento più alla realtà che alle idee.

Nella liturgia eucaristica utilizzando le parole stesse di Gesù facciamo riferimento proprio al linguaggio semitico “questo è il mio sangue versato per voi e per tutti in remissione dei peccati”. Questo gesto richiama l’aspersione del sangue che Mosè ha fatto in occasione dell’alleanza tra Dio e il suo popolo.

Che differenza c’è? Mosè ha sparso sul popolo il sangue di vittime sacrificali come segno della vita di Dio. Gesù, invece, sparge il suo sangue su tutti gli uomini: è il sangue stesso di Dio. È la sua vita. È il dono di tutto se stesso. Il suo sangue noi lo beviamo e, così,  si mischia con il nostro… è un alleanza eterna… è in noi!