Il racconto dell’apparizione di Gesù risorto a Tommaso fa sempre tanto tenerezza: da una parte la testardaggine di Tommaso che non vuole credere finchè non è lui a vedere di persona Gesù… dall’altra, Gesù che con pazienza ritorna proprio per Tommaso, gli va incontro con tenerezza, si rende disponibile al suo desiderio di toccarlo con mano… Gesù è davvero il Buon Pastore che continuamente va incontro alla pecorella perduta per riportarla all’ovile! Nessun rimprovero o rimbrotto ma solo l’amore che accorcia le distanze e rimette in relazione.

C’è da dire che, seppure Tommaso faccia la figura dell’incredulo, in realtà, ci insegna una cosa sacrosanta: non si può dire di credere veramente fintanto che non si fa un’esperienza personale del risorto! Va benissimo il racconto dei testimoni, necessario come punto di partenza, ma, poi, occorre che ciascuno parta per la propria ricerca e indaghi secondo le pieghe della propria personalità la modalità dell’essere accanto del Signore nella propria vita!

Mi pare, in questo senso, molto significativo l’aggettivo possessivo “mio” Signore e “mio” Dio con il quale Tommaso fa la sua professione di fede! Tommaso può dire, anche lui, che Gesù gli appartiene sul serio, alla pari degli altri discepoli! Possiamo dire lo stesso anche noi?