“Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”
La ricchezza di Parola di Dio che incontriamo nei diversi formulari della festa del Natale ruota, ovviamente, intorno al segno del bambino, avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia: Dio si rende visibile agli uomini e, nello stesso tempo, si nasconde nella piccolezza di un bimbo, nella sua fragilità, nella povertà di uno strumento come la mangiatoia. Segni, le fasce e la mangiatoia, che sembrano preludere al destino di quel neonato, che si offrirà in sacrificio per tutti, che si farà cibo per la vita del mondo.
Torna, nel brano della notte di Natale, e ancor più in quello del giorno, il riferimento alla Luce, che irrompe nel buio della Terra, e delle nostre vite. Ma lo fa senza abbagliarci. Al contrario, lo fa entrando nel mondo in modo del tutto inaspettato. Da quel giorno, dal Natale di Gesù, Dio si lega indissolubilmente alla natura umana. E all’uomo, che fa della Storia la trama del suo voler diventare Dio, Dio risponde entrando nella Storia. Entrando nel tempo. Facendosi uomo.
Da allora, l’essere uomo, l’essere semplicemente uomo, si rivela già come un’esperienza religiosa molto forte. Vivere autenticamente la nostra umanità, scontrandosi con le fatiche quotidiane, con la nostra fragilità e piccolezza e povertà, significa fare vera esperienza di Dio.
E, se lo vogliamo, significa accogliere la Luce vera che illumina la nostra vita.