“Imparate da me che sono mite e umile di cuore.”

Il brano intercetta un disagio diffuso e drammatico nel nostro mondo. L’uomo è stanco e oppresso, alla ricerca non procrastinabile di una soluzione. Gesù, come sempre, indica un rimedio apparentemente assurdo scandito in tre momenti. Venite a me, prendete il mio giogo sopra di voi, imparate da me che sono mite e umile di cuore. C’è un giogo (concettualmente il giogo è segno della fatica) che non schiaccia l’uomo, anzi lo ricostruisce perché è un’esperienza divina. La soluzione dei nostri problemi non sta nel sottrarci alle nostre responsabilità, ma in un approccio diverso alle fatiche della vita. Imparate da me che sono mite e umile di cuore. Il rimedio sta nel mistero di Dio. L’uomo Gesù che fa l’uomo con la verità di Dio è mite e umile di cuore. Mitezza e umiltà insieme definiscono un altro modo di vivere la vita. Un’attenzione insistita all’altro, un agire costante con bontà e mai con modalità violente, una coscienza del proprio limite, una verità mai appannata sulla relazione dove non voglio solo cambiare l’altro, ma vogliamo sempre cambiare insieme.  In questa logica, fare l’uomo diventa un’esperienza bella anche se faticosa e la positività di questo impedisce alla quotidianità di degenerare in quel non senso che distrugge l’uomo.

Imparate da me che sono mite e umile di cuore.