“Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me”

 Entriamo nella grande festa della Pentecoste attraverso il vangelo della Messa vespertina nella vigilia – vangelo che ascoltiamo anche nella veglia comunitaria del sabato sera.

 La frase di questa settimana è un ‘grido’ di Gesù: “Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me”. Gesù invita a sé per offrire un dono.

 Gesù invita, anzitutto: “venga a me”. Andare a Lui significa entrare in amicizia con Lui, riconoscere Lui come il Signore e il Maestro, consegnare nelle sue mani la nostra vita. Ma questo movimento si realizza ad una condizione: l’essere assetati (“se qualcuno ha sete”). E la sete non è quella fisica del viandante del deserto, ma è la sete di chi è assetato di dare senso alla vita, di trovare uno scopo per cui sia bello vivere; è la sete – in ultima analisi – di chi ha il cuore inquieto e cerca in Dio – magari senza rendersene subito conto – il suo approdo.

 Gesù, in secondo luogo, promette. Gesù, a chi crede in Lui, promette di offrire da bere. E l’acqua che offre è l’acqua viva e vivificante del suo Spirito. Gesù darà di quest’acqua dalla Croce, dal suo costato aperto. Il dono del Figlio trafitto è lo Spirito che genera i figli di Dio e quindi la Chiesa.

Pentecoste è la festa delle meraviglie che lo Spirito Santo compie. E la prima meraviglia è quella di farci gridare: “Abbà, Padre”.

 Passiamo così dal grido di Gesù, riportato oggi nel vangelo, al nostro grido, riportato da Paolo nella lettera ai Romani: “avete ricevuto uno Spirito da figli adottivi nel quale gridiamo: Abbà, Padre!”. E i figli si trovano riuniti nella famiglia di Dio che è la Chiesa.