Gesù guarisce il cieco nato per compiere le opere di colui che mi ha mandato. Egli dice di sé : E’ per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano, e quelli che vedono diventino ciechi . Qui si sta parlando di un “vedere” in Dio. Per vedere ci vogliono due cose: gli occhi e la luce. Il cieco nato ha occhi nuovi perché ha ascoltato la parola di Gesù. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. La luce non manca: Io sono la luce del mondo. Così attrezzato egli può fare radicalmente l’esperienza della fede di fronte a Gesù che gli chiede: Credi nel Figlio dell’uomo? Il suo “sì” è semplice e totale: Credo, Signore! Anche l’impianto letterario del brano ha una valenza teologica. Da una parte la semplicità e la stringatezza del racconto del miracolo, dall’altra la lungaggine infinita delle diatribe dei farisei. La fede è semplice. Il trovare un surrogato della fede dove le proprie idee diventano il senso ultimo della vita è un’operazione complessa e destinata a fallire. Il brano ci insegna l’esperienza della fede che è l’esperienza di Gesù. Gesù è la luce, la verità che ci illumina, un contenuto dottrinale che viene da Dio, una parola pronta per essere tradotta in vita. Gesù però, attraverso i sacramenti, è anche una presenza di grazia nella nostra vita che crea una sintonia profonda tra il Dio della verità e il Dio che sta dentro di noi. Questo impianto di grazia è la premessa e la condizione della fede.
Come il cieco nato proviamo a dare un senso nuovo alla vita facendo l’esperienza radicale della fede che vuol dire lasciare che la Parola illumini ogni attimo della nostra esistenza. La frase da vivere questa settimana è: Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.